Mercoledì, 4 Ottobre 2006
La recente ed auspicata approvazione del provvedimento d’indulto, ha rappresentato, certamente, un felice ed alto momento di tensione umanitaria.
Questo provvedimento, tuttavia, non sarà certamente in grado di risolvere nel tempo il problema di sovraffollamento delle carceri italiane, il problema del reinserimento dei beneficiati dall’indulto, il problema dell’escalation criminale nelle nostre città, il problema dell’integrazione di migliaia di immigrati, il problema del terrorismo islamico, il problema della rieducazione dei condannati e quindi della nostra sicurezza, quali cittadini.
Lo dimostrano anche i recenti fatti di cronaca, in cui tra l’altro emerge una preoccupante distanza culturale, religiosa, sociale e giuridica, tra la punizione statuale, comminata dall’ordinamento statuale e la punizione, fatta da soli, inseguendo regole proprie di tradizioni culturali lontane, a noi sconosciute.
Lo Stato Italiano potrà perseguire una reale politica di integrazione degli immigrati, applicando un vecchio e rigido sistema penale, basato solo sulla carcerazione, a persone venute da terre distanti, portatrici anche di differenti costumi familiari e coniugali, molte volte, prive ancora della minima consapevolezza sociale, culturale, giuridica e di legalità del paese in cui sono giunti?
Quale comprensione, dialogo e mediazione culturale, potrà, in questo modo, instaurarsi?
Punire, senza il carcere, significherebbe relativizzare, per questo, la propria verità e identità culturale, sociale, religiosa, giuridica?
Per questi motivi, dagli inviti del Grande Papa Giovanni Paolo II a meditare sul senso della pena, per aprire nuove frontiere per la collettività, è sorto in Roma, nel mese di gennaio 2006, il Movimento Clemenza e Dignità (www.clemenza.it), un movimento finalizzato alla riforma della giustizia punitiva italiana.
Un movimento che crede nel progresso del diritto ed in particolare nell’evoluzione del diritto punitivo.
Un movimento che crede, così come i progressi medici scientifici, possano contribuire a salvare molte vite umane, così anche il progresso del diritto, una volta recepito dai consociati, possa contribuire a recuperare molte di queste vite.
Un movimento, che sostanzialmente, si adopera per la carità nella giustizia, attraverso il volontariato scientifico, un movimento che prevede al suo interno anche una Consulta Etico – Religiosa di carattere ecumenico.
Un movimento, oltretutto, non avulso dalle realtà inerenti l’esercizio del governo, non avulso dalle realtà politiche della città di Roma, ma che ha, recentemente, in sede di consultazioni amministrative, dimostrato impegno, in questo campo, con il sostegno e la piena condivisione d’ideali.
Per questi motivi, il “Movimento Clemenza e Dignità”, nell’esercizio della sua libera e volontaria attività di osservazione e ricerca, sottolinea pubblicamente, attraverso il seguente breve documento aperto, alcuni aspetti giuridici con rilevanza sociale che, dopo l’approvazione del provvedimento di clemenza, necessiterebbero essere introdotti, per rendere duraturi gli aspetti positivi dell’indulto, per favorire l’integrazione delle persone immigrate nell’ambito dello status di cittadini, per accrescere la sicurezza delle persone.
In particolare, “Clemenza e Dignità” sente dover esprimere la necessità, condivisa anche da moltissimi cittadini, di un nuovo processo penale che abbia la sua radice e la sua ratio, nelle esigenze del rispetto dei valori insiti nella personalità dell’individuo, personalità, che andrebbe, d’ora in poi, sempre compiutamente accertata e valutata anche nei suoi aspetti sociali, culturali, ambientali e psichici.
Necessita, quindi, l’introduzione di un nuovo processo che si ponga l’obiettivo non solo di punire ma anche del recupero e/o della tutela degli aspetti positivi della personalità dell’individuo.
L’introduzione di un nuovo processo penale, teso al recupero delle valenze positive, insite in qualsiasi essere umano, teso al loro sostegno e sviluppo.
L’introduzione di un nuovo processo penale che in tutti i suoi aspetti si ponga come strumento, possibilmente, non traumatico, capace di responsabilizzare il più possibile la persona, attraverso l’introduzione di nuove stimolazioni positive.
Un nuovo processo in cui la implicazione punitiva, venga canalizzata ai fini della redenzione, in modo che il contatto con gli apparati della giustizia e l’ingresso nel circuito penale, servano per una possibile uscita dal penale.
Occorre, quindi, secondo le libere osservazioni del “Movimento Clemenza e Dignità”:
1) un processo ordinario in cui sia anche assicurata la integrata partecipazione di nuovi componenti, in modo che il processo stesso valga a produrre non solo la legalità, attraverso la componente togata, ma anche le innumerevoli valutazioni multi-disciplinari sulla personalità del singolo imputato.
2) nuovi strumenti processuali nel processo ordinario, che, anzichè sospendere l’esecuzione della pena, sospendano il corso del processo, per fornire, istantaneamente e non dopo il processo e l’irrogazione della pena, all’autore del reato, l’opportunità di un riscatto, attraverso una messa alla prova.
Una messa alla prova, durante la quale, l’individuo debole e/o bisognoso, possa anche usufruire di idonee attività di trattamento e sostegno.
Una messa alla prova, per valutare, nel tempo di sospensione del processo, le evoluzioni comportamentali dell’individuo, per responsabilizzare il comportamento dell’individuo stesso anche nell’attività di riparazione delle conseguenze e nella riconciliazione.
Una messa alla prova, che, responsabilizzando senza punire, possa essere, pure, momento ed occasione per l’integrazione, culturale, sociale, giuridica delle persone immigrate.
Una messa alla prova, in grado anche di estinguere il reato, in caso di suo esito favorevole.
3) nuovi strumenti processuali nel processo ordinario, in grado di fornire la possibilità al giudice di astenersi dal pronunciare il rinvio a giudizio, di astenersi dal pronunciare condanna, quando rilevate le circostanze per la valutazione ai fini della pena, presuma con certezza che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati.
4) nuovi strumenti processuali nel processo ordinario, che valutando il pregiudizio che l’ulteriore corso del procedimento può recare all’indagato o all’imputato, per la sua personalità, per le sue esigenze di salute, di studio, di famiglia, di lavoro, siano, contemporaneamente, meccanismo deflattivo del sistema penale, in grado, quindi, di produrre statuizioni di non luogo a procedere, nelle ipotesi in cui il fatto ascritto, appaia privo di significato criminoso e di concreta rilevanza sociale, alla stregua del grado della colpevolezza, della tenuità delle conseguenze prodotte e della occasionalità del comportamento deviante.
5) nuovi strumenti processuali nel processo ordinario, che tengano conto anche delle condotte riparatorie, idonee a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione, determinando così in caso di riparazione del danno e di eliminazione di tutte le sue conseguenze dannose o pericolose, prima dell’esercizio dell’azione penale, anche l’estinzione del reato.
Inoltre, spostando l’attenzione dai citati aspetti processuali, “Clemenza e Dignità” vuole esprimere la considerazione, condivisa anche da moltissimi cittadini, che la nostra sicurezza non nasce ad esempio dalle attenuate inibizioni concernenti l’utilizzo di armi a difesa della persona e della casa, incorrendo, ora, più difficilmente in ipotesi di eccesso colposo.
Non tutti hanno le capacità fisiche e/o la coerenza morale e religiosa di difendersi in questo modo.
Vuole esprimere la considerazione, condivisa anche da moltissimi cittadini, che la rieducazione dei condannati, rappresenta il principale mezzo di garanzia della nostra sicurezza.
Vuole esprimere la considerazione, condivisa anche da moltissimi cittadini, che la rieducazione non può essere dissociata dalla punizione, lasciata solo alla buona volontà degli operatori, ma deve essere connaturata in nuove punizioni, capaci ex se di rieducare.
Vuole esprimere la considerazione, condivisa anche da moltissimi cittadini, che il carcere e la privazione di libertà personale, non possono continuare ad essere la pena giusta per ogni tipo di reato, ma debbono essere la conseguenza necessitata dei reati gravi e dei condannati realisticamente pericolosi per la sicurezza sociale.
Per realizzare una valida ed effettiva rieducazione dei condannati e, quindi, per garantire ed accrescere la sicurezza dei cittadini, occorre che vengano codicisticamente previste delle nuove pene, diverse dal carcere, che abbiano anche un certo grado di specificità in relazione alla tipologia del reato commesso e che contemplino anche il compimento di prestazioni di servizio civile e di lavori di utlità sociale.
Occorre, quindi, secondo le libere osservazioni del Movimento:
1) l’introduzione ordinaria di lavori di utilità sociale, ovvero prestazioni di attività non retribuita in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e volontariato.
Prestazioni di attività non retribuita che contemplino a mero titolo esemplificativo la pulizia nei quartieri e dei parchi, la pulizia degli arenili, la manutenzione e la riparazione dei manti stradali, la raccolta differenziata dei rifiuti urbani, il lavoro presso musei e siti culturali-archeologici-artistici, le attività di sensibilizzazione sui rischi determinati da abuso di sostanze alcoliche e stupefacenti, ecc., ecc..
Roma 04-10-2006 Giuseppe Maria Meloni