COMUNICATO – 21/06/2010
Roma, 21 giu. – “La situazione difficile delle carceri italiane, ci fa apprezzare ancor di più l’art. 27, 3° comma della nostra Costituzione, laddove recita che “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità..”.” Lo dichiara in una nota Giuseppe Maria Meloni, presidente di Clemenza e Dignità. “Allo stesso tempo, però, – prosegue – tale norma, meditata alla luce dell’attualità, andrebbe soggetta a due possibili riflessioni: la prima discende direttamente dal fatto che per senso di umanità deve letteralmente intendersi il sentimento di fratellanza e di solidarietà fra gli uomini.” “Ora – dice Meloni – tale sentimento di fratellanza implicherebbe a monte e quale causa, il riconoscimento nell’altro e nel caso di specie nel detenuto, dei caratteri dell’umano e della persona.” “Invece, – rileva – nel citato 3° comma dell’art. 27, singolarmente inteso, non si fa assolutamente cenno alla personalità umana di chi è sottoposto a pena e alla nobiltà intrinseca derivante dalla condizione dell’umano, facendo così direttamente riferimento all’effetto senza menzionarne la causa, ritenendola scontata”. “In questo modo, – spiega – se tale riconoscimento dell’umano era, comunque, cosa ovvia in un’Italia in cui non pochi dell’allora classe dirigente dovettero precedentemente patire il carcere, in un’Italia appena uscita dalla guerra, pervasa da un forte sentimento solidaristico, la stessa cosa non potrebbe dirsi nel contesto attuale.” “Specie per via dell’allarmante questione sulla sicurezza, e nonostante faticose letture combinate dell’art. 27 con l’art. 2 della Costituzione, sui diritti inviolabili dell’uomo, – sottolinea – manca oggi questa nitida percezione del detenuto quale persona, e tale mancanza, la mancanza della causa, fa venir meno di conseguenza qualsiasi senso di fratellanza e di solidarietà con coloro che sono soggetti ad una pena.” “Il secondo problema, non meno importante, – continua – è dato dal fatto che nell’odierna situazione non è la pena prevista in sè per sè, a consistere in trattamenti contrari al senso di umanità, così come poteva essere la pena di morte, ma è la sua concreta esecuzione, caratterizzata da strutture inadeguate e fatiscenti, sovraffollamento oltre ogni limite e carenze igieniche sanitarie, a determinare trattamenti contrari al senso di umanità.” “Nell’articolo 27 in questione, invece, – precisa – non c’è alcun riferimento specifico agli aspetti inerenti l’esecuzione della pena”. “Dovendo quindi fare una analisi prettamente storica della questione e senza nulla togliere al complessivo valore della Costituzione approvata – osserva – sarebbe possibile scorgere proprio sul punto di cui all’art. 27, un significato di grande attualità nella Relazione Patricolo alla Commissione per la Costituzione.” “Tale relazione – sostiene – ci consentirebbe oggi di superare i menzionati aspetti critici, inerenti l’esecuzione della pena e il riconoscimento della personalità umana di chi ne è sottoposto.” “Difatti, – conclude Meloni- tale relazione che influì concretamente nell’evoluzione storica dell’art. 27 della Costituzione, recitava, invece: “Le pene e la loro esecuzione non possono essere lesive della dignità della personalità umana”.