COMUNICATO – 01/09/2009
Roma, 1 sett. – “Mancano pochi giorni alla riapertura delle scuole, e la questione dell’ora di religione esaminata dal Tar Lazio con una sentenza del 17 luglio scorso e successivamente disciplinata in un Regolamento per la valutazione degli alunni pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 19 agosto, torna prepotentemente di attualità. Affrontiamo la problematica nel rispetto delle decisioni assunte e che verranno e nel rispetto dei diversi punti di vista succedutisi nel tempo. Senza cedere all’inutile contrapposizione tra chi reputa l’ora di religione un momento altamente formativo e chi la reputa inutile, un privilegio ecclesiastico da eliminare.” Lo dichiara in una nota Giuseppe Maria Meloni, presidente del movimento Clemenza e Dignità. “Certo, – prosegue – anche formulando una considerazione non religiosa ma meramente culturale, il fatto di essere l’Italia, la culla del cattolicesimo mondiale, rappresenta un elemento identitario di grandissima rilevanza. Allo stesso tempo ci avviciniamo alle celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia, e dopo aver messo in discussione tanti elementi di solidarietà e di coesione nazionale, compreso l’inno, oscurando pure i principi del cattolicesimo che fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, che sono elemento fondante del tessuto umano e sociale della nazione, viene da chiedersi in che cosa mai riusciremo a riconoscerci.” “In linea di massima e di principio – sostiene Meloni – può apparire anche giusto il ragionamento del Tar Lazio secondo cui l’attribuzione di un credito formativo ad una scelta di carattere religioso degli studenti o dei loro genitori, quale quella di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, possa dar luogo ad una forma di discriminazione, dato che lo Stato Italiano non assicura identicamente la possibilita’ per tutti i cittadini di conseguire un credito formativo nelle proprie confessioni (islamica, ebrea, cristiane, di altro rito) ovvero per chi dichiara di non professare alcuna religione in Etica Morale Pubblica.” “Tuttavia, – osserva – questa ipotetica discriminazione perde poi molta forma, spessore e consistenza alla luce del fatto che nessuno, ma proprio nessuno è oggi obbligato a seguire l’ora di religione e comunque, si può sempre richiedere un’attività alternativa alla religione stessa.” “Inoltre, -rileva – anche volendo seguire il ragionamento del Tar e volgendo lo sguardo da un’ottica di massima e di principio al particolare, non è che possa dirsi integrata automaticamente una forma di discriminazione, per il solo fatto che non venga assicurata la possibilita’ per tutti i cittadini di conseguire un credito formativo nelle rispettive confessioni. Poiché in questo caso da un mero indizio, da un fumus di disparità di trattamento, dovrebbe comunque accertarsi se effettivamente questa discriminazione sussista.” “In particolare, – secondo Meloni – attraverso un’indagine e un’analisi più approfondita, nella valutazione degli eventuali aspetti discriminatori, dovrebbe tenersi conto anche di un fatto tendenzialmente uniformativo e integrativo, ovvero del fatto che in numerose intese stipulate dallo Stato italiano con confessioni religiose diverse dalla cattolica, al fine di garantire un trattamento non dissimile da quello riservato alla Chiesa Cattolica, è prevista comunque la facoltà di esercitare nelle scuole pubbliche, ove richieste, forme di insegnamento religioso.” “In esito a questa facoltà – precisa – dovrebbe poi accertarsi anche dell’eventuale sussistenza di ulteriori fattori, come ad esempio uno scarso interesse delle confessioni religiose stipulatarie, determinato dall’impossibilità di conseguire un insegnamento religioso di massa a fronte di significativi oneri finanziari da sostenere. Oppure uno scarso interesse, dettato dalla particolare convinzione che l’educazione religiosa dei fanciulli e dei giovani non appartenga al mondo della scuola ma sia solo di specifica competenza delle famiglie, delle comunità e delle Chiese. Oppure uno scarso interesse, dettato dalla motivazione strategica di optare direttamente, qualora gli venga consentito, sull’istituzione di scuole di ogni ordine e grado e istituti di educazione.” “Oltre a ciò, – sottolinea Meloni – vi è un imprescindibile aspetto preliminare da rappresentare, ovvero il ragionamento del Tar, sebbene veramente apprezzabile nella sua ansia perequativa, è un ragionamento puramente astratto, che esce dai fatti e dalla realtà normativa sussistente, come se nel momento del giudizio e attualmente, nella scuola pubblica fossero frequentabili insegnamenti di religione islamica, ebrea, cristiane, di altro rito, di Etica morale pubblica, e non si potesse conseguire in queste materie un credito formativo. Come se ad esempio sul piano normativo, in materia di insegnamento religioso, non esistesse o meglio ancora fosse del tutto immotivata la forza e la specificità del nuovo Concordato e relativo protocollo addizionale.” “Una forza e specificità – dice Meloni – che oggettivamente non sono un privilegio irragionevole in virtù di una ingiustificata posizione dominante, ma nascono, come si evince dalle norme concordatarie, semplicemente dalla constatazione della natura delle cose, dall’intenzione dello Stato di valorizzare, nell’ambito proprio del pluralismo garantito dalla Costituzione, la cultura e i principi della religione che più di ogni altra ha inciso sulla formazione del popolo italiano. Non si tratta tra l’altro di una scelta religiosa, di una preferenza di natura spirituale, poiché le nuove norme concordatarie mettono in relazione l’insegnamento della religione con l’importanza da questa rivestita, alla stregua di valore culturale e per l’appartenenza dei principi del cattolicesimo al patrimonio storico degli italiani.” “Stiamo, quindi, vertendo – spiega – di una situazione percebile intellettualmente ma che non esiste formalmente nella realtà giuridica. Si avrebbe cioè discriminazione, qualora attualmente nella scuola pubblica potesse effettivamente scegliersi tra più insegnamenti religiosi o di etica-morale pubblica, e in tale contesto, ad esempio, solo per uno o per alcuni di questi insegnamenti fosse prevista la possibilità di contribuire al credito formativo, senza invece riconoscere alcun valore di credito a tutti gli altri insegnamenti. Ugualmente si avrebbe una reale e tangibile discriminazione, qualora a parità di ore di frequenza, venisse attribuito un diverso valore formativo ai diversi insegnamenti religiosi, etici-morali.” “Nel caso di specie, invece, – continua – ci troviamo in una situazione in cui, senza astrazioni e giudicando al puro stato degli atti, non sussiste la possibilità per tutti i cittadini di conseguire un credito formativo nelle rispettive confessioni o per chi non professa alcuna religione in Etica Morale pubblica, non perché gli venga arbitrariamente e ingiustamente denegato, ma semplicemente e oggettivamente perché tutti questi insegnamenti etici-religiosi richiamati in sentenza (islamica, ebrea, cristiane, di altro rito, etica morale pubblica), non appaiono essere veramente usufruibili all’interno della scuola pubblica.” “Il probabile vizio di eccessiva astrazione del giudizio – conclude Meloni – appare evidente, verificando poi quali potrebbero essere gli effetti inerenti l’annullamento degli atti impugnati. In particolare, anche annullando l’atto o gli atti, le ordinanze ministeriali finalizzate al credito formativo, non si assicurerebbe automaticamente la possibilità per tutti i cittadini di conseguire un credito formativo nelle rispettive confessioni religiose, non si andrebbe automaticamente costituendo o ristabilendo un pluralismo ideologico religioso nella scuola, nel senso di una pari dignità didattica tra ipotetici diversi insegnamenti religiosi, nel senso di una par condicio formativa tra vari e ipotetici insegnamenti religiosi o di etica-morale pubblica. Ma si impoverirebbe solo il principio del pluralismo religioso, anche dell’unica presenza religiosa nella scuola. Si realizzerebbe il paradosso di una tensione verso la valorizzazione del pluralismo religioso nella scuola, da realizzarsi attraverso l’indebolimento e la svalutazione del fattore religioso. Penalizzando anzi discriminando, questi indubbiamente, milioni di studenti che hanno scelto l’IRC, la grandissima maggioranza 9 studenti su 10.”